venerdì 26 novembre 2010

Ulteriora mirari, praesentia sequi. Guardare al futuro, stare nel proprio tempo. (Publio Cornelio Tacito)


Ecco..una bella chiacchierata con Tacito oggi me la farei volentieri. Gli offrirei le mie domande e cercherei di saziarmi con le sue risposte. Forse, povero Tacito, “tacitamente” declinerebbe l’invito se sapesse che la mia curiosità è ingorda. Sì, perché come si fa a guardare al futuro stando nel proprio tempo?
Una riflessione ovvia potrebbe certo spingermi a considerare  che è la vita di ogni giorno che si deve godere, pur nella sua fugacità, per tentare di giungere al futuro che ci si immagina. Il futuro se ne sta lì, non certo a portata di mano ma neppure tanto distante da sembrare irraggiungibile. Il presente è l’hic et nunc, il qui ed ora, facile appiglio per chi di tempo ne ha troppo…o troppo poco.  
A me però una domanda viene spontanea.
Caro Tacito, come si costruisce il presente?
Vivendo.
Stando nel proprio tempo?
Si.
Ma se il proprio tempo mi sta un po’ stretto?
Ragazza mia, basta trattenere il respiro.
Ma così soffoco. Non posso mica vivere come se indossassi il vestito di qualcun altro.
Sai cucire?
Insomma. L’ago mi pare sempre troppo piccolo e le mani mi tremano.
Allora prendi le forbici e fai saltare qualche punto delle cuciture, lì dove senti il respiro mancare. Il vestito si allargherà. E tu respirerai.
Ma continuerei ad indossare qualcosa che non è mio.
Ago e filo servivano a questo. Per cucirtene uno su misura per te.
Quindi sono condannata a trattenere il respiro.
O a prendere in prestito qualcosa da indossare di più comodo.
Mmmhh. E per guardare il futuro?
Benedetta ragazza, in questo sei un’esperta.
Sorrido.
Si è vero, ma non vorrei che, essendo miope, non riuscissi a vedere abbastanza lontano.
Usi le lenti.
Giusto.
Ricordi la prima volta che le hai provate?
Cosa, le lenti?
Si.
Si certo. Perché?
Descrivimi la sensazione.
Bè, ero un’adolescente che strizzava gli occhi per mettere a fuoco la lavagna in classe, e tornavo a casa con mal di testa lancinanti. Odiavo gli occhiali, li mettevo pochissimo e mai, dico mai, quando uscivo. I miei genitori per disperazione alla fine si convinsero a farmi provare con le lenti a contatto. Andai dall’ottico, mi disse di fare un primo tentativo per qualche ora. Me ne andai alla festa del quartiere, e cominciai a guardare qualsiasi cosa potessi. Cartelloni pubblicitari, vie, insegne di negozi, titoli dei giornali in edicola. Per la strada riconobbi il fruttivendolo del mercato, il ragazzo che piaceva alla mia compagna di banco, la suora che mi aveva fatto catechismo. Fu come se vedessi per la prima volta. Era tutto talmente nitido. Pensai che forse non avevo mai avuto 10 decimi perché non mi ricordavo il mondo senza sfocature. Ero eccitata ed entusiasta. Da allora non ho più smesso di guardarmi attorno, anzi, mi sono divertita a testare il mio nuovo “senso”: cercavo di guardare sempre più lontano, per capire quale fosse il limite oltre il quale non sarei potuta arrivare a vedere distintamente i dettagli.
E l’hai trovato quel confine?
No. La miopia non migliora, peggiora o si stabilizza col tempo.
Usi ancora le lenti però.
Tutti i giorni. Non potrei farne a meno.
Perché?
Perché sbaglierei le strade, non riconoscerei nessuno, non vedrei nemmeno un pericolo se mi si avvicinasse. Sarei come una bussola impazzita. Tutto sarebbe avvolto da una grande nuvola di fumo.  E io camminerei a tentoni, come si faceva a mosca cieca.
Sei sicura di aver messo le lenti oggi?
:P
( senza lenti e ago e filo mi sa che sono spacciata!!ahahahhahhaha)

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