venerdì 17 dicembre 2010

LETTERA A TUTTI I GENITORI E AI FIGLI..(DI R.SANTONI, dirigente scolastico, Bassano Romano 2004)

"Tu che sei nato prima del 1970 o giù di lì, a ben pensarci è difficile credere  che siamo vissuti fino ad oggi!
Da bambini i flaconi dei medicinali non avevano delle chiusure speciali. Bevevamo l'acqua dalla fontana, dalla canna del giardino, non da una bottiglia. Che orrore!
Andavamo in bicicletta senza usare il casco. Passavamo dei pomeriggi a costruirci i nostri "carri giocattolo". Ci lanciavamo dalle discese e dimenticavamo di non avere i freni fino a quando non ci sfracellavamo contro un albero o un marciapiede. E dopo numerosi incidenti imparavamo a risolvere il problema..noi da soli!
Uscivamo di casa al mattino, andavamo a scuola a piedi e tornavamo a casa a piedi, da soli; giocavamo tutto il giorno senza che i genitori sapessero esattamente dove fossimo, ma non ci siamo mai persi.
Non esistevamo i cellulari. Incredibile!
Ci procuravamo delle abrasioni, ci rompevamo le ossa o i denti..e non c'erano mai denince: erano soltanto incidenti, nessuno ne aveva la colpa. Avevamo delle liti, a volte dei lividi, e anche se ci facevano male e a volte piangevamo, passavano presto; la maggior parte delle volte senza che i nostri genitori lo sapessero.
Mangiavamo dei dolci, del pane con moltissimo burro e zucchero..ma nessuno di noi era obeso.
Non avevamo la playstation, nè il nintendo, nè videogiochi, nè la tv satellitare, nè il pc. Avevamo semplicemente degli amici. Uscivamo da casa e li trovavamo. Andavamo in bicicletta o a piedi a casa loro, suonavamo il campanello e entravamo, e parlavamo con loro.
Ci inventavamo dei giochi con i abstoni e i sassi. Giocavamo coi vermi e, malgrado le avvertenze dei genitori, nessuno tolse un occhio ad un altro con un ramo e i nostri stomaci non si riempirono di evrmi.
Alcuni studenti ci emttevano più tempo per imparare e dovevano rifare la seconda elementare! I maestri non cambiavano i voti, per nessun motivo.
I peggiori problemi a scuola erano i ritardi o se qualcuno masticava la gomma in classe.
Le nostre iniziative erano nostre. E le conseguenze pure. Nessuno si nascondeva dietro a un altro.
L'idea che i nostri genitori ci vrebbero difeso se trasgredivamo a una legge, non ci sfiorava; loro erano smepre dalla prte della legge. Se ti comprotavi male i tuoi genitroi ti mettevano in castigo e nessuno metteva loro in galera per questo. Anche se non avevano studito, i genitori facevano i genitori e non i "sindacalisti" dei figli.
Sapevamo che quando i genitori dicevano "no", significava proprio NO.
I giocattoli li ricevevamo al nostro compleanno o a Natale, non ogni volta che si andava al supermercato.
I nostri genitori ci facevano i regali con amre, non per i sensi di colpa. E le nostre vit non sono state rovinate perchè non ci diedero tutto ciò che volevamo.
Avevamo libertà e insuccessi, successi e responsabilità, e abbiamo imparato a gestirli.
Abbiamo avuto la fortuna di crescere prima che accettassimo che la nostra vita fosse regolata da qualcun altro. "

martedì 14 dicembre 2010

314 Vs 311..ma il tramonto quando scende?


La luce adesso sarebbe perfetta…perfetta per una fotografia. Perfetta per guardare dentro l’obiettivo, girando per le strade, mettendo a fuoco volti e gesti. Perfetta per sfuggire all’impietosa nitidezza della luce del mattino, che non sa nascondere le ombre. Perfetta per addolcire uno stato d’animo inquieto, che non conosce tutte le sfumature del cielo all’imbrunire. Il prof. Ismael Bartleboom, in “Oceano Mare” (di A.Baricco) compie straordinari studi: un’enciclopedia del limiti, anzi l’ Enciclopedia dei limiti riscontrabili in natura con un supplemento dedicato ai limiti delle umane facoltà. L’ultima voce che descrive, prima del suo viaggio verso il mare, è stata Tramonti.
“Sapete, è geniale questa cosa che i giorni finiscono. E’ un sistema geniale. I giorni e poi le notti. Sembra scontato ma c’è del genio. E là dove la natura decide di collocare i propri limiti, esplode lo spettacolo. I tramonti. Ma non è facile capire un tramonto. Ha i suoi tempi, le sue misure, i suoi colori. […] non c’è un tramonto, dico uno, che sia identico ad un altro.”
Bartleboom ha ragione. Io resto affascinata dai tramonti. Ogni pomeriggio i colori cambiano, la luce è sempre diversa, le nuvole si gonfiano e si allungano mai alla stessa maniera. Eppure accade ogni giorno. Perdonate la digressione romanticamente voluta, ma per fare una fotografia all’Italia di oggi il momento del tramonto mi sembra quello più azzeccato. Forse perché abbellisce. Smussa le forme. Dà tepore anche a un semplice muro bianco. Lo rende meno anonimo. Servirebbe un bel tramonto sull’Italia. Ecco. A tramontare dovrebbe essere la volgarità di una politica corrotta, sudicia in strette di mano sottobanco, con cui si baratta la dignità di un paese per interessi personali. A tramontare dovrebbero essere le solite facce della politica, in piedi mentre sghignazzano sull’ingenuità di chi li ha votati per starsene lì, in un’aula immensa che dovrebbe essere un formicaio operoso., o scivolati sul proprio banchetto in sonni profondi, incuranti del proprio ruolo. A tramontare dovrebbe essere la facile viltà con cui si rinuncia alla bandiera, al colore del proprio partito. Per soldi. O poco meno. A tramontare dovrebbero essere i soliti nomi, che da decenni prendono in giro gli italiani, tirando le fila di una crisi sociale urgente,  prima ancora che economica. A tramontare dovrebbero essere i loro stipendi, perché in fondo in quanto “servitori” dello Stato dovrebbero servire, non essere serviti con il sudore di chi ancora ci crede all’idea di Stato. A tramontare dovrebbe essere la palpabile indifferenza di chi guarda i cittadini da dentro la propria auto blu. A tramontare dovrebbero essere le rappresaglie contro chi manifesta lo sdegno per ciò che accade qui, oggi come ieri e, forse, come domani. Studenti contro la privatizzazione dell’università e dello studio, immigrati senza voce costretti a salire sulle gru, precari senza futuro, operai metalmeccanici della Fiomm, terremotati lasciati soli a raccogliere i pezzi della loro vita, cittadini trattati peggio della ‘munnezza che gli si accumula davanti casa. E nei polmoni. A tramontare dovrebbe essere il tanfo proveniente da Montecitorio. Lì, invece, è sempre giorno. Lì qualcuno ancora se la ride, gonfio di una vittoria provvisoria. Fatta di numeri, non di uomini. Il prof. Bartlebloom ne potrebbe scrivere a dozzine di enciclopedie sui limiti delle umane facoltà se oggi accendesse la tv o sentisse parlare la classe dirigente che ci governa. Fuori intanto è una guerriglia urbana. Perché a tramontare non è neppure la rabbia dei cortei che sfilano per la capitale. E, purtroppo, nemmeno la violenza di estremisti che, di quella rabbia, non conoscono il valore. Tramonta il dialogo, la democratica espressione dei propri diritti. Si accende invece la violenza degli scontri e dei roghi nel cuore della città. Negozi blindati con i clienti dentro. Barricate della polizia. Feriti. Auto e camionette della GF incendiate. I fumogeni colorati per illuminare la nuova gioventù che dice “NO” , sono un ricordo della prima mattinata. Poi i lacrimogeni. Caschi, manganelli, sanpietrini che volano, bastoni. Dal pulpito del potere, i soliti insulti. Si torna indietro al’77. Ma la storia non tramonta mai. Si ripete. C’è chi è stato messo a testa in giù in piazza. Si sono venduti l’Italia. Si sono venduti il nostro presente e il nostro futuro. Non tutto però ha un prezzo, non tutto si può comprare. Perché, come scritto su uno striscione “Voi siete la casta, NOI la maggioranza”… ‘Avevo voglia di urlare, volevo gridare, volevo stracciarmi i polmoni, come Papillon, con tutta la forza dello stomaco, spaccandomi la trachea, con tutta la voce che la gola poteva ancora pompare:
"Maledetti bastardi, sono ancora vivo!’( Gomorra)..perchè tutti insieme “famo paura”…ecco, questo non tramonterà.

martedì 30 novembre 2010

I PRESUNTUOSI...


I “PRESUNTUOSI”…
Sono bamboccioni, presuntuosi. Svogliati, perché i bravi studenti sono a casa a studiare mentre in piazza ci vanno solo i centri sociali e quelli fuoricorso. Manipolabili. Disoccupati. Precari. Ricercatori, senza fondi. Emigranti. E stanchi. Stanchi di dover abbassare la testa, di far decidere ad altri il proprio futuro. Stanchi di vedere le proprie tasse universitarie nelle tasche dei baroni o degli istituti privati. Stanchi di credere alla bugie su meritocrazia e abolizione di Parentopoli. Stanchi della mancanza di investimenti e di risorse, dei tagli non solo al portafoglio dell’istruzione ma soprattutto alle possibilità di costruirsi un futuro. Stanchi dei sacrifici che le famiglie fanno per mantenerli all’università, solo per avere un pezzo di carta da incorniciare nell’eterna “cameretta”. Stanchi di normative votate senza coscienza. Di emendamenti che sono ricatti camuffati. Stanchi di chi crede che il potere possa comprare tutto, anche la dignità. Stanchi di essere etichettati. Di sentirsi emarginati in casa propria, nel proprio paese. Come se il libretto degli esami, gli appunti scritti magari seduti per terra perché non ci sono abbastanza sedie nell’aula e coi cappotti addosso, perché non funzionano nemmeno i riscaldamenti, e le pergamene di laurea, fossero solo carta straccia. Poveri illusi di una generazione che non sa fare la “rivoluzione” dei padri, compiacenti dell’ignoranza che cancella  ogni diritto. Sono loro, migliaia di ragazzi e ragazze. Bagnati dalla pioggia, che però non lava via la vergogna di questa riforma. Stanchi. E incazzati.
“Occupiamo-ci del nostro futuro”. Polo di Lettere a Chieti.
E così è.
Ma il ministro Maroni ha blindato Roma. Camionette cariche di poliziotti presidiano Montecitorio, e tutte le vie di accesso. Via del Corso, via della Vite, vie del Gambero, solo per citarne alcune. Le forze dell’Ordine in tenuta antisommossa. Per una manifestazione pacifica nelle intenzioni, impedire di accedere alla Piazza della “democrazia” sembra una provocazione. Striscioni, slogan, cori, un corteo umano che rivendica il diritto di manifestare, di gridare “NO” a una riforma voluta da un ministro che è l’emblema delle macerie in cui si è sgretolata la scuola italiana. Lanci di ortaggi, uova e carta igienica. Fumogeni rossi. Spintoni. Un’esasperazione che ricorda Genova. Una tensione pericolosa se mal gestita. Una rabbia stuzzicata,  per essere strumentalizzata alla prima occasione. La crisi non è solo quella dei conti del Governo. La crisi è culturale, sociale. Forse oltre che scappare per necessità oltre confine, qualcuno vuole restare per togliersi il bavaglio perché..come ha detto ieri Roberto Saviano…non fa paura chi racconta, ma fa paura CHI ASCOLTA!!! E allora orecchie aperte ;)

Urbino: occupato il rettorato;
Cagliari: occupate le facoltà e bloccate alcune strade della città;
Teramo: occupata la radio d`ateneo e assemblea permanente;
L'Aquila: proseguono le occupazioni nelle facoltà; sui tetti “scatole vuote”.
Firenze: gli studenti continuano l`occupazione dei tetti e di Ponte Vittoria;
Genova: 3.000 studenti occupano la sopraelevata;
Pisa: occupata la stazione;
Bologna: 5.000 in un corteo studentesco bloccano l`autostrada A14;
Napoli: 20.000 studenti in corteo;
Lecce: 3.000 studenti in corteo occupano l`anfiteatro romano;
Ancona: occupati i tetti delle facoltà;
Pavia: 2.500 studenti in corteo bloccano le strade della città;
Torino: bloccata la tangenziale;
Parma: bloccata per un’ora la stazione;


Bloccata l’A3 Salerno-Reggio Calabria
Venezia: “siamo tutti nipoti di Mubarak”. Stazioni paralizzate.
Lecce: occupato l’Anfiteatro Romano
Catania: 7.000 studenti
Cosenza: 3.000 bloccano la stazione centrale.
Milano: cortei bloccano le arterie della città per ricongiungersi alla stazione Cadorna;
Padova: 2mila studenti bloccano la stazione, treni dirottati sulla linea per Treviso e Castelfranco;
Palermo: 5mila manifestanti, cori contro il decreto Gelmini e il governo Berlusconi, fumogeni a Piazza Vittorio Veneto;
Udine: presidio con maxischermo per seguire i lavori parlamentari. Sul Municipio campeggia lo slogan “Gli Atenei come Pompei”
Parigi: striscioni contro il ddl Gelmini sull’Arco di Trionfo

venerdì 26 novembre 2010

Ulteriora mirari, praesentia sequi. Guardare al futuro, stare nel proprio tempo. (Publio Cornelio Tacito)


Ecco..una bella chiacchierata con Tacito oggi me la farei volentieri. Gli offrirei le mie domande e cercherei di saziarmi con le sue risposte. Forse, povero Tacito, “tacitamente” declinerebbe l’invito se sapesse che la mia curiosità è ingorda. Sì, perché come si fa a guardare al futuro stando nel proprio tempo?
Una riflessione ovvia potrebbe certo spingermi a considerare  che è la vita di ogni giorno che si deve godere, pur nella sua fugacità, per tentare di giungere al futuro che ci si immagina. Il futuro se ne sta lì, non certo a portata di mano ma neppure tanto distante da sembrare irraggiungibile. Il presente è l’hic et nunc, il qui ed ora, facile appiglio per chi di tempo ne ha troppo…o troppo poco.  
A me però una domanda viene spontanea.
Caro Tacito, come si costruisce il presente?
Vivendo.
Stando nel proprio tempo?
Si.
Ma se il proprio tempo mi sta un po’ stretto?
Ragazza mia, basta trattenere il respiro.
Ma così soffoco. Non posso mica vivere come se indossassi il vestito di qualcun altro.
Sai cucire?
Insomma. L’ago mi pare sempre troppo piccolo e le mani mi tremano.
Allora prendi le forbici e fai saltare qualche punto delle cuciture, lì dove senti il respiro mancare. Il vestito si allargherà. E tu respirerai.
Ma continuerei ad indossare qualcosa che non è mio.
Ago e filo servivano a questo. Per cucirtene uno su misura per te.
Quindi sono condannata a trattenere il respiro.
O a prendere in prestito qualcosa da indossare di più comodo.
Mmmhh. E per guardare il futuro?
Benedetta ragazza, in questo sei un’esperta.
Sorrido.
Si è vero, ma non vorrei che, essendo miope, non riuscissi a vedere abbastanza lontano.
Usi le lenti.
Giusto.
Ricordi la prima volta che le hai provate?
Cosa, le lenti?
Si.
Si certo. Perché?
Descrivimi la sensazione.
Bè, ero un’adolescente che strizzava gli occhi per mettere a fuoco la lavagna in classe, e tornavo a casa con mal di testa lancinanti. Odiavo gli occhiali, li mettevo pochissimo e mai, dico mai, quando uscivo. I miei genitori per disperazione alla fine si convinsero a farmi provare con le lenti a contatto. Andai dall’ottico, mi disse di fare un primo tentativo per qualche ora. Me ne andai alla festa del quartiere, e cominciai a guardare qualsiasi cosa potessi. Cartelloni pubblicitari, vie, insegne di negozi, titoli dei giornali in edicola. Per la strada riconobbi il fruttivendolo del mercato, il ragazzo che piaceva alla mia compagna di banco, la suora che mi aveva fatto catechismo. Fu come se vedessi per la prima volta. Era tutto talmente nitido. Pensai che forse non avevo mai avuto 10 decimi perché non mi ricordavo il mondo senza sfocature. Ero eccitata ed entusiasta. Da allora non ho più smesso di guardarmi attorno, anzi, mi sono divertita a testare il mio nuovo “senso”: cercavo di guardare sempre più lontano, per capire quale fosse il limite oltre il quale non sarei potuta arrivare a vedere distintamente i dettagli.
E l’hai trovato quel confine?
No. La miopia non migliora, peggiora o si stabilizza col tempo.
Usi ancora le lenti però.
Tutti i giorni. Non potrei farne a meno.
Perché?
Perché sbaglierei le strade, non riconoscerei nessuno, non vedrei nemmeno un pericolo se mi si avvicinasse. Sarei come una bussola impazzita. Tutto sarebbe avvolto da una grande nuvola di fumo.  E io camminerei a tentoni, come si faceva a mosca cieca.
Sei sicura di aver messo le lenti oggi?
:P
( senza lenti e ago e filo mi sa che sono spacciata!!ahahahhahhaha)

martedì 9 novembre 2010

per una giornata uggiosa...

Sui castelli romani piove...e sarebbe strano il contrario, visto che buona parte del bel paese è soffocato da nuvoloni carichi (oltre che dai soliti scandali)...dopo un solitario raggio di sole che mi riaccompagnava a casa, le premesse per il diluvio pomeridiano ci sono tutte. In questi casi, essendo anche un po' metereopatica, cerco di combattere la segregazione forzata dentro le quattro mura domestiche con qualcosa che funziona meglio di qualsiasi altro rimedio antistress..cucinare :D
Ho avuto la fortuna di crescere con merende fatte in casa da mia mamma, il che forse mi ha salvato la glicemia e ha contribuito a saziarmi anche solo vedendo preparare qualcosa di buono...la cucina è per me un angolo di casa magico, dove da pochi ingredienti si dà vita a profumi, a sapori, a colori, che un sorriso lo strappano per forza. Da buona allieva, quindi, ho anche io il mio bel ricettario di casa che riempio mano a mano che mi vengono in mente nuove ricette o dopo una caccia al tesoro su qualche sito, rivista, o dal passaparola degli amici ( che mi dicono sia la pubblicità migliore)...oggi, avevo voglia di un profumo che richiamasse alla mente un'immagine colorata, allegra, e mentre spulciavo con lo sguardo il giardino (seguendo l'istinto felino del mio batuffolo di pelo) mi è caduto l'occhio sul piccolo e fragile alberello di melo piantato in un angolino..è da poco con noi, ha preso il posto di un arancio rigoglioso e prosperoso che, a causa dell'incomeptenza di certi giardinieri, non è sopravvissuto al trauma di uno spostamento..niente di meglio allora che una bella torta soffice all'arancia e al succo di mela ;)
 Allora, ci vogliono davvero 5-10 minuti massimo, cronometrati (oltre ai 30 minuti di cottura)...se amate il grembiule è il momento di indossarlo, fate un bel fiocco dietro e via..(personalmente sono più rustica, niente grembiule ahahahah). Vi occorre: 1 arancia, 1 cucchiaio di succo di mela (concentrato sarebbe meglio), 100 gr di zucchero, 200 gr di farina integrale, 1 tazzina di olio di semi di girasole, 1 cucchiaino di cannella ( anche anice o altre spezie miste se vi aggradano), 1 cucchiaino di lievito in polvere,pizzico di sale, cocco grattigiato per guarnire e margarina per imburarre la teglia (se avete le forme in silicone non serve)..Parte il cronometro..sbucciate e tagliate l'arancia e, insieme a 1/2 bicchiere di acqua e al succo di mela, frullate nel mixer. Aggiungete poi l'olio di smei , lo zucchero e frullate nuovamente. A parte mescolate gli ingredienti secchi, quindi la farina, il sale, il lievito e la cannella. Versate nel composto la miscela liquida frullata e mescolate accuratamente con un cucchiaio di legno, cercando di fare attenzione a non creare grumi. Ungete la teglia se necessario, e versate il composto nello stampo. Deve cuocere per 30 minuti a 180°, dopodichè lasciate raffreddare per 5 minuti ancora prima di guarnirla con il cocco grattuggiato e qualche fettina di arancia pelata a vivo (senza pellicina). Si può accompganare questa bontà anche con della crema al limone o all'arancia, per richiamare i profumi e i sapori degli ingredienti principali..una bella spremuta o un tè caldo concludono la merenda che, se notate, è piuttosto leggera..non c'è burro nè grassi animali, niente uova, farina integrale e poco zucchero...immagino le facce perplesse dei malfidati ahahahah ma vi assicuro che per dare sapore ai cibi spesso basta poco..lo so per esperienza visto che, essendo allergica al latte e tenendoci particolamente a una dieta salutista (oltre che vegetariana), io e mia mamma ne abbiamo sperimentate di alternative possibili e con ottimi risultati ;) provare per credere...se, mentre date un morso a una fetta di questa torta, chiudete gli occhi e vi concentrate sul sapore, magari vi verrà in mente Amalfi, Sorrento e tutta la costiera con i suoi agrumeti...contro il grigiore e la pioggia autunnale non è male come cartolina..buona merenda a tutti...

lunedì 1 novembre 2010

Aspettando l'8 Novembre...


Vado via perché a 25 anni ho 2 lauree e nessun lavoro. Vado via perché il cassetto dei sogni è troppo pieno e io non posso pensare di dover smettere di sognare perché qui non ho la possibilità nemmeno di tentare di realizzarli quei sogni. Vado via perché ho la nausea a guardare i tg che enfatizzano la curiosità perversa di chi va a vedere il luogo di un delitto. Vado via perché chi lotta per i propri diritti e lavora onestamente è chiamato “criminale”. Vado via perché qui lo straniero fa ancora paura. Vado via perché mi sento io straniera nel mio paese. Perché qui ti aprono la porta se sei un raccomandato, un faccendiere, un corrotto o corruttibile, un evasore, uno che paga il pizzo o la tangente, uno che sa con quale mano dare e con quale ricevere, uno che crede che la legge non è uguale per tutti, uno che della furbizia ne ha fatto un’arte. Vado via perché c’è ancora troppa gente che, per rassegnazione o disperazione, crede ai giochi di parole, ai sorrisi di chi ha messo in ginocchio questo paese e fa la bella vita, mentre le famiglie si fanno i conti in tasca a fine mese. Vado via perché non sopporto che l’Italia sia solo buon cibo e bei paesaggi, che la democrazia sia qui solo una parola che si studia sui libri di scuola. Vado via perché la libertà non può avere un prezzo, non può essere merce di scambio. Vado via perché mi fa schifo la connivenza dello Stato con le mafie, la puzza non della mondezza di Napoli ma dell’ignoranza. Vado via perché non voglio che questa Italia insegni nulla ai miei figli. Vado via perché l’indifferenza mi soffoca. Vado via perché ormai “inghiottiamo il male e ci strozziamo con il bene”. Ma forse resto. Resto perché mi vengono i brividi quando Monicelli dice che servirebbe una rivoluzione, perché piango quando Benigni racconta l’inferno di Dante, perché mi indigno la domenica sera con i servizi di Report della Gabanelli o di Presa Diretta di Iacona, perché rido con la Littizzetto dopo aver pensato alle parole di Al Gore o di Grossman, perché annuisco con Travaglio, perché no sopporto le urla di Grillo, e apprezzo la pacatezza di Vendola, perché Roberto (Saviano) mi ha aperto gli occhi e mi ha dato un motivo in più per non abbassare mai lo sguardo. Resto perché voglio camminare a testa alta, non lasciar piegare la mia dignità, lottare per il mio futuro e per quello dei miei figli finché ce la farò. Resto perché voglio che questa terra permetta di nuovo di affondare le proprie radici. Resto perché mi hanno insegnato che non è forte colui che non cade mai ma chi, quando cade, si rialza. Resto. Forse.

sabato 30 ottobre 2010

ITACA...

Itaca
Quando ti metterai in viaggio per Itaca
devi augurarti che la strada sia lunga
fertile in avventure e in esperienze.
I Lestrigoni e i Ciclopi o la furia di Nettuno non temere,
non sarà questo il genere d'incontri
se il pensiero resta alto e un sentimento fermo guida il tuo spirito e il tuo corpo.
In Ciclopi e Lestrigoni, no certo nè nell'irato Nettuno incapperai
se non li porti dentro
se l'anima non te li mette contro.

Devi augurarti che la strada sia lunga.
Che i mattini d'estate siano tanti
quando nei porti - finalmente, e con che gioia - toccherai terra tu per la prima volta:
negli empori fenici indugia e acquista madreperle coralli ebano e ambre
tutta merce fina, anche profumi penetranti d'ogni sorta, più profumi inebrianti che puoi,
va in molte città egizie
impara una quantità di cose dai dotti.

Sempre devi avere in mente Itaca - raggiungerla sia il pensiero costante.
Soprattutto, non affrettare il viaggio; fa che duri a lungo, per anni, e che da vecchio
metta piede sull'isola, tu, ricco dei tesori accumulati per strada
senza aspettarti ricchezze da Itaca.

Itaca ti ha dato il bel viaggio,
senza di lei mai ti saresti messo in viaggio: che cos'altro ti aspetti?

E se la trovi povera, non per questo Itaca ti avrà deluso.
Fatto ormai savio, con tutta la tua esperienza addosso
già tu avrai capito ciò che Itaca vuole significare.

(Costantinos Kavafis)

Si dice che un viaggio ha un significato già solo perchè è un viaggio...allora io mi chiedo se sia più giusto andare o restare..se sia più facile andare o restare..